Testo italiano b - Civiltà Greca

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ALCESTI
str. a
O sole, o luce del giorno
e voi, turbini celesti
di nuvole in fuga.
ADMETO
Il sole ci vede, scorge la nostra miseria. Siamo innocenti di fronte agli dèi: eppure, tu muori.
ALCESTI
ant. a
O mia terra e casa
e letto nuziale
nella paterna Iolco.
ADMETO
Fatti forza, povera infelice, non mi lasciare, implora gli dèi potenti di avere pietà di te.
ALCESTI
str. b
Vedo, vedo nella palude la barca
e il traghettatore dei morti, Caronte:
impugna una lunga pertica,
mi chiama: «Perché indugi? Sbrìgati,
tu mi sottrai tempo». Mi fa fretta,
irosamente.
ADMETO
Ahimè, mi parli di un viaggio amaro. Povera creatura, cosa dobbiamo patire.
ALCESTI
ant. b
Qualcuno mi trascina via - non vedi? -
Mi trascina verso il regno delle ombre.
Ha le ali... nei suoi occhi cupi, semichiusi,
splende la morte.
Che fai? Lasciami!
Mi inoltro, disperata, per un'orribile strada.
ADMETO
Tristissima per chi ti ama, e soprattutto per me, per i figli, accomunati in questo dolore.
ALCESTI
ep.
Lasciatemi, lasciatemi,
posatemi giù: le gambe non mi sorreggono.
L'Ade è vicino. Striscia furtiva
sui miei occhi la tenebra della notte.
O figli, figli, non avete più madre.
Vi auguro, figli, di vivere felici.
ADMETO
Ahimè, sento parole dolorose, peggiori per me di ogni morte. Non essere così crudele da abbandonarmi, te ne prego, per gli dèi, per questi figli che lascerai orfani. Non cedere, fatti coraggio! Se tu muori io non sono più niente: solo per te esisto e vivo. Mi prostro davanti al tuo amore.
ALCESTI
Admeto, tu vedi come vanno le cose per me. Prima che arrivi la fine, vorrei comunicarti i miei desideri. Ti ho onorato, ti ho permesso, dando in cambio la vita, di godere ancora la luce del sole: muoio per te, e mi era possibile non farlo, prendermi, ad arbitrio mio, uno sposo fra i Tessali, abitare in una casa sovranamente ricca. Ma non ho voluto vivere priva di te, con i figli orfani, non ho esitato a sacrificare la giovinezza di cui godevo, io. Ma l'uomo che ti ha generato e la donna che ti ha partorito, ti hanno tradito entrambi: eppure erano arrivati a un'età in cui è bello andarsene, salvare il figlio e morire gloriosamente. Eri il loro unico figlio, scomparso te non potevano sperare di metterne al mondo un altro. Avremmo avuto davanti a noi ancora molti anni, tutti e due, e tu non piangeresti ora per avere perduto la sposa, non ti toccherebbe allevare da solo i figli. Ma un dio ha deciso che le cose andassero così. Lasciamo stare. Serbami gratitudine per tutto questo. Io non ti chiederò un favore uguale - niente è più prezioso dell'esistenza -, ma giusto, e lo ammetterai.
Tu, da buon padre, ami i tuoi figli come li amo io. Lasciali padroni della mia casa, non dargli una matrigna, sposandoti di nuovo. Sarà cattiva, in confronto a me, alzerà la mano contro i tuoi, i miei figli, per gelosia. Non mi fare questo, ti prego. La nuova arrivata, la matrigna, detesta i figli del primo letto, non è più gentile di una vipera. E poi, il maschio ha nel padre una torre robusta [e gli può parlare e avere risposta]. Ma tu, figlia mia, come verrai cresciuta per diventar donna? Che tipo di matrigna ti capiterà? Non vorrei che infangando il tuo nome ti rovinasse le nozze mentre sei nel fiore degli anni. Tua madre non ci sarà alle tue nozze, non ti farà coraggio al momento del parto, assistendoti, ed è il momento in cui non c'è niente che valga una madre. Io devo morire: e non domani o dopodomani del mese, ma fra poco entrerò nel novero dei più. Addio, siate felici: potete vantarvi tu, marito, per la moglie e voi, bambini, per la madre meravigliosa che avete avuto.

CORO
Sta' tranquilla, non esito a parlare in nome di Admeto: farà come dici tu, se non è uscito di senno.
ADMETO
Proprio così, proprio così: non aver paura. Da viva eri mia moglie e anche da morta sarai nota come la mia unica moglie: nessuna donna tessala prenderà il tuo posto, chiamerà Admeto «marito mio». Non esiste un'altra donna di stirpe tanto illustre né di bellezza pari alla tua. Quanto ai figli, mi bastano quelli che ho: chiedo solo agli dèi che costituiscano il mio conforto, visto che ho perduto te troppo presto. Il lutto per te non lo porterò per un anno, ma per sempre, finché vivo, insieme all'odio per chi mi ha partorito, al rancore per chi mi ha generato: mi amavano a parole, e non di fatto. Tu hai offerto, in cambio della mia vita, quanto c'è di più caro e così mi hai salvato. E non devo piangere se perdo una compagna come te? Niente più feste, niente più simposi e convitati, niente più ghirlande: e via anche la musica che riempiva le mie stanze. Non mi sentirei più di prendere in mano una cetra, non mi darebbe sollievo cantare al suono del flauto libico: tu mi hai tolto ogni gioia di vivere. Mi farò scolpire da un bravo artista una statua che ti raffiguri, la collocherò sul nostro letto. Mi getterò su di essa; la stringerò fra le braccia, pronunziando il tuo nome e mi sembrerà di stringermi a te, anche se non è vero. Una fredda gioia, d'accordo, ma anche una consolazione per la mia anima oppressa. Verrai a visitarmi in sogno e io sarò felice: è dolce vedere i propri cari anche di notte, per il tempo che ci è concesso. Magari avessi la voce e il canto di Orfeo, per ammaliare la figlia di Demetra o il suo sposo e così portarti via dall'Ade. Scenderei tra le ombre, e né il cane di Plutone né Caronte, il nocchiero delle anime potrebbero impedirmi di restituirti alla luce. Ma così come stanno le cose, aspettami, finché non giunga il mio ultimo giorno: prepara la dimora, dove tu e io abiteremo insieme. Ordinerò ai miei figli di depormi nella tua stessa bara di cedro, giaceremo fianco a fianco: neanche da morto voglio restar separato da te, l'unica persona a me fedele.
CORO
Parteciperò, da amico, al grave cordoglio di un amico: lei se lo merita.
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