Era dunque il regime democratico ad essere in pericolo: e questa volta il nemico non era identificato nella democrazia radicale di Cleone, ma all'opposto negli ambienti delle eterìe aristocratiche e nei loro "educatori": i Sofisti e Socrate.
Che l'intuizione di Aristofane fosse fondata lo dimostra il fatto stesso che dalla scuola di Socrate siano emersi tutti i personaggi collegabili in vario modo con i colpi di Stato del 411 e del 404 a.C. (da Teramene a Crizia stesso), oppure fautori di una politica personalistica e tutt'altro che attenta al bene collettivo, come Alcibiade (forse adombrato nel "maniaco dei cavalli" Fidippide). E per far emergere le pesanti responsabilità di Socrate in tal senso,
Aristofane non esita a sovrapporlo a pensatori che sa perfettamente essere distanti da lui, come i Sofisti ed Anassagora. Già al suo primo apparire sulla scena, Socrate è presentato in maniera quantomeno bizzarra: sospeso in aria in una cesta. Il filosofo spiega che questa posizione gli permette di librare la mente e il pensiero verso l’alto, facendo così grandi scoperte. Alla prova dei fatti, però, Socrate ed i suoi allievi si rivelano dei pericolosi cialtroni, che si occupano di questioni insensate e prive di importanza, come misurare il salto di una pulce, e che pretendono, con argomentazioni sottili ma prive di qualsiasi fondamento, di sovvertire il sistema di valori tradizionale.
Aristofane, quindi, come più tardi Isocrate, non ritiene che vi sia alcunché di costruttivo nell'esercitare la sottigliezza di ragionamento di Socrate, non più di quanto ve ne sia nelle argomentazioni cavillose dei Sofisti, dal momento che, agli effetti pratici, Socrate "corrompe i giovani" esattamente come i Sofisti: anzi, i suoi discepoli o sono o si comportano come Sofisti (non si dimentichi che Crizia, allievo di Socrate, fu anche uno dei principali esponenti della Sofistica estrema). Tanto vale quindi identificarlo con essi, senza tanti inutili distiguo.
Quanto al "Socrate anassagoreo", la "confusione" è ancora più perfida e sottile, come ha ben chiarito Luciano Canfora: infatti Socrate, nelle Nuvole, afferma di credere nel Vortice anziché in Zeus, come Anassagora, e di voler mescolare il pensiero all’aria in base al principio delle omeomerìe anassagoree. A chi obietta che Socrate non era un physikòs e che si occupava esclusivamente dell'uomo, e che quindi Aristofane aveva una conoscenza superficiale del suo pensiero, andrebbe fatto presente che lo stesso Socrate, nel Fedro platonico, ammette di essersi occupato della Natura in gioventù. Dunque Aristofane sa esattamente cosa dice.
Ebbene, Anassagora era stato accusato di empietà (asèbeia): difeso da Pericle in persona, era stato esiliato, e secondo alcuni condannato a morte in contumacia, proprio per avere
"introdotto divinità nuove". Ora, non si vede per quale motivo Socrate, che fa esattamente la stessa cosa, non debba essere condannato a morte a sua volta (il rogo finale del Pensatoio allude proprio a questo).
In sintesi, per Aristofane, Socrate deve morire per due motivi:
• perché "corrompe i giovani", come i Sofisti;
• perché "introduce divinità nuove", come Anassagora.
Esattamente le stesse accuse che, ventiquattro anni più tardi, gli verranno mosse da Ànito e Melèto, e che gli costeranno la vita.
Un messaggio, dunque, tanto inquietante quanto profetico, quello delle Nuvole, destinato ad essere incompreso ora come allora.