
Sono con Atene i Chii, i Lesbii (fra i ‘guardiani’ dell’impero), i Plateesi; nella Grecia nord-occidentale, i Messeni stanziati a Naupatto, la maggior parte degli Acarnani e, nei pressi, Corcira e Zacinto; inoltre le città dell’impero sparse dalla Caria alla Doride d’Asia, alla Ionia, all’Ellesponto; partecipano con la flotta Chio, Lesbo, Corcira, con fanti e contributi in denaro gli altri (Tucidide, II 9). La periodizzazione della guerra in due grandi fasi (431-421 e 413-404) è quella determinata dalla pace detta ‘di Nicia’, del 421; e questa è solo la ripartizione più macroscopica.
Tucidide (o quanto meno la struttura in libri definitivamente assunta dalla sua opera nel corso della tradizione) tende a raggruppare la narrazione degli eventi (fatta per estati e inverni) in gruppi di tre anni.
I due schieramenti si fronteggiano con un’aggressività che non dà segni di debolezza o di ripensamenti: i Greci si abbandonano con foga al desiderio di fare i conti gli uni con gli altri;
Due mesi dopo l’attacco fallito a Platea (maggio-giugno del 431) circa 20.000 opliti peloponnesiaci, al comando del re spartano Archidamo II, presto rafforzati da 5000 Beoti, invadono l’Attica settentrionale. L’invasione dura appena un mese: il suo effetto è quello di devastare i campi, nel territorio di Acarne e dintorni, mentre gli Ateniesi si tengono chiusi, giusta la strategia periclea, in città, e tra la città e il Pireo. Archidamo si ritira in Beozia oltre il Parnete e Oropo, e poi all’istmo di Corinto.