Definita, in un dialogo di Luciano il più bello fra tutti i canti.
Celebra la vittoria di Ierone nella gara del celato o cavallo montato, nella 76 Olimpiade [476 a. C.]
Il grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio la pose in apertura per 2 motivi:
A. celebra la gloria dei giochi olimpici
B. narra il mito archetipico: la vittoria di Pelope su Enomao
Figlio di Tantalo. Sua madre è chiamata Clizia. ora Eurianassa, Euristanassa, Euritemiste.
Per onorare gli dèi durante un festino, Tantalo tagliò a pezzi il figlio Pelope, lo fece bollire in un calderone e ne servì le carni in tavola, per sfidare la chiaroveggenza divina. Tutti gli dèi si resero conto di ciò che stava sul loro piatto e si astennero inorriditi dal mangiarne, tranne Demetra che, sconvolta per il rapimento di sua figlia Persefone, assaggiò un pezzetto di spalla. Gli dèi dopo avere sprofondato Tantalo nel Tartaro e lanciato una maledizione alla sua stirpe, ricomposero il corpo di Pelope e gli restituirono la vita. Al posto della spalla mancante, gliene venne adattata una d'avorio. Poseidone attratto dalla bellezza del giovane se ne innamorò e volle condurlo con sé nell'Olimpo, dove gli servì da coppiere. Ben presto, fu rimandato sulla terra, ma Poseidone rimase suo protettore e gli regalò cavalli alati. Pelope ereditò il trono di Paflagonia da suo padre Tantalo, ma i barbari lo cacciarono ed egli si ritirò sul monte Sipilo in Lidia, sua patria ancestrale. Ilo, re di Troia, gli ordinò di andarsene e Pelope aveva deciso di stabilirsi in una nuova sede, ma prima volle chiedere la mano di Ippodamia, figlia del re Enomao d'Arcadia, il quale regnava su Pisa e sull'Elide. Enomao voleva evitare che Ippodamia si sposasse, perché un oracolo aveva predetto che il genero l'avrebbe ucciso; secondo un'altra versione egli stesso sarebbe stato innamorato della figlia. Escogitò uno strano mezzo per impedire a Ippodamia di sposarsi: sfidava ciascun pretendente a misurarsi con lui in una corsa di cocchi che si svolgeva su un lungo e difficile percorso, da Pisa fino all'altare di Poseidone sull'istmo di Corinto, e dopo averlo battuto lo uccideva. Pelope per amore della ragazza partecipò alla gara e con l'inganno, riuscì a vincere. Infatti riuscì a corrompere l'auriga del re, Mirtilo, offrendogli una notte nel letto di Ippodamia e metà del suo regno se avesse consentito a sostituire gli acciarini delle ruote del suo padrone con altri fatti di cera. Secondo un'altra versione, Ippodamia, per amore di Pelope, si accordò personalmente con Mirtilo. Durante la gara le ruote si staccarono causando la morte di Enomao. Pelope sposò Ippodamia, ma un giorno mentre si era allontanato per prendere dell'acqua, Mirtilo tentò di violentarla. Quando la donna riferì i fatti allo sposo, Pelope sferrò a Mirtilo un calcio improvviso che lo fece precipitare a capofitto nel mare; e Mirtilo, mentre cadeva, lanciò una maledizione contro Pelope e la sua stirpe. Pelope proseguì il suo viaggio, finché raggiunse la parte occidentale dell'Oceano, dove fu purificato da Efesto; in seguito ritornò a Pisa e successe sul trono a Enomao. Ben presto conquistò quasi tutta la regione e la chiamò Peloponneso che significa "Isola di Pelope".
Pindaro racconta una variante del mito, in cui la colpa di Tantalo fu quello di elargire il nettare e l’ambrosia agli uomini.
Caratteristiche:
1. Immagini ispirate alla polarità luce/ombra.
2. Tema conviviale:
¬ la “tavola amica” nel Proemio
¬ Il motivo del pio/empio banchetto di Tantalo.
¬ L’ineguagliabile ospitalità di Ierone.
3. La scena in cui Pelope, di notte, invoca Poseidone in riva al mare, rappresenta il nucleo drammatico del carme.
4. “L’io” di Pelope è il solo che sentiamo risuonare, oltre all’”io” poetico.
5. Una importante testimonianza del carro alato di Pelope si trovava su un famoso oggetto esposto a Olimpia: l’arca di Cipselo (VI secolo a. C.), come racconta Pausania, V,17,7.
6. I preparativi della corsa erano rappresentati sul frontone est del tempio di Zeus; il gruppo scultoreo e’ datato al 470 a. C., cioè gli anni immediatamente seguenti alla Olimpica I.
7. Agli stessi anni risale una statua policroma in terracotta, che raffigura il rapimento di Ganimede a opera di Zeus. (Pausania, V,10,6).