Epinicio V
L'occasione per cui l’ode venne composta è la stessa che vide Pindaro scrivere rOlimpica I: la vittoria ottenuta da Ierone nel 476 a.C. ai giochi olimpici col cavallo da corsa Ferenico. Essa si apre col solenne annuncio dell’arrivo a Siracusa di questo canto, inviato da Ceo, patria del poeta. Viene quindi introdotta, con altrettanta solennità, l’immagine dell'aquila messaggera di Zeus (v. 16), che fende inarrestabile l’immenso cielo e al cui apparire si dileguano atterriti gli altri uccelli: a essa si paragona il poeta, che nella celebrazione della vittoria associa a Ierone anche il fratello Gelone. Segue, in forma di μακαρισμός («Beato colui che ha ricevuto / dal dio una parte del bello...»), una pessimistica gnome sull’infelicità della condizione umana (vv. 50-55), cui segue subito una dimostrazione rappresentata dall’exemplum mitico. La leggenda è quella, assai nota, di Meleagro: la vita di questo eroe dipendeva da un tizzone che le Moire avevano consegnato a sua madre Altea, dicendole che il figlio sarebbe morto solo quando esso si fosse consumato. Altea aveva gelosamente conservato il tizzone spento; ma quando Meleagro, venuto a diverbio con gli zii materni, li uccise, la madre, in uno scatto d’ira, gettò il fatale oggetto nel fuoco, provocando istantaneamente la morte del figlio. Come si è detto, questa drammatica vicenda è narrata dall’ombra dello stesso Meleagro a Eracle, la cui caratterizzazione oscilla fra quella tradizionale del semidio guerriero c l’altra, tutta bacchilidca, dell’uomo capace di piangere sulla sorte dei suoi simili e di riflettere con lucida amarezza sulla condizione dell'intero genere umano. La seconda parte del colloquio fra i due eroi è apparentemente caratterizzata da un attenuarsi dei toni drammatici: infatti Meleagro parla a Eracle di sua sorella Dcianira, con cui lo stesso Eracle si sposerà e dalla quale riceverà, sia pure involontariamente, la morte. Se l’eroe è ignaro del destino che lo attende, non così è per il pubblico cui l’epinicio è destinato, cosicché anche questa sezione del componimento risulta carica di una sinistra allusività. Canonico è il confronto fra questo Epinicio V e l'Olimpica I di Pindaro, confronto suggerito dall'identità dell'occasione per cui le due odi vennero composte. In realtà la vittoria di Ierone costituisce l'unico punto di contatto fra due componimenti profondamente differenti per stile e per concezione poetica: la pretesa inferiorità di Bacchilide finisce dunque col rivelarsi solo una diversità che impedisce qualunque forma di paragone.
1
Fortunato signore dei Siracusani
che corrono con i cavalli,
conoscerai più di tutti
gli uomini d'oggi l'ornamento, il dono soave
delle Muse coronate di viole,
e giustamente. Da’ respiro alla tua anima giusta
dalle pene, e rivolgi
la tua attenzione a vedere
come, con l’aiuto delle Grazie dalla vita sottile,
manda dall’isola sacra
un inno alla vostra gloriosa
città l’ospite, il servo illustre di Urania
dal diadema dorato, e vuole lodare, riversando
dal petto la voce,
lerone. L'aquila fende
l’aria profonda in alto
con le fulve ali
veloci, la messaggera
di Zeus tonante e possente,
fiduciosa nella sua forza;
si nascondono per la paura
gli uccelli canori, e non la fermano
le vette della vasta terra e neppure
gli ardui marosi
del mare instancabile: muove
nel vuoto immenso le penne
sottili al soffio di Zefiro,
la sua criniera,
ed è ben visibile agli uomini.
Così anche per me mille strade
mi portano a celebrare
la vostra virtù in nome della Vittoria
dai capelli scuri e di Ares dal petto di bronzo,
nobili figli di Dinomene;2 il dio non si stanchi
di concedervi i suoi favori.
L'Aurora dalle braccia dorate
vide vincere presso l’Alfeo dalle profonde correnti
il biondo Fcrenico, cavallo
veloce come una bufera,
2
e nella sacra Delfi. Toccò la terra e
annunziò che non lo ha macchiato la
polvere di cavalli davanti a lui nella
gara, mentre correva al traguardo.
Con lo slancio di Borea, docile al suo pilota,
corre a portare altri applausi per la vittoria al re
ospitale.
Beato colui che ha ricevuto
dal dio una parte del bello,
c con sorte invidiabile
conduce una vita ricca; perché nessuno
degli uomini sopra la terra
fu mai totalmente felice.
Dicono che una volta il figlio invincibile di Zeus
signore del fulmine,
sterminatore, entrò nella
casa di Persefone dalle caviglie
sottili, per riportare dall’Ade
alla luce
il cane dai denti aguzzi
figlio della ternbile Echidna.
E là conobbe le anime degli infelici mortali
presso le acque del fiume Cocito,
come il vento sconvolge le foglie
sulle pendici splendenti
dell'Ida ricco di greggi.
E tra loro spiccava l’ombra del coraggioso
guerriero, nipote di Portaone.
Come lo vide risplendere delle sue armi,
il meraviglioso figlio di Alcmena
attaccò all'arco la corda sonora,
tolse il coperchio alla faretra
ed estrasse una freccia
con la punta di bronzo; davanti
gli apparve l'anima di Meleagro.
Lo riconobbe e gli disse:
«Figlio del grande Zeus, resta dove sei,
tranquillizzati
3
Non scagliare inutilmente la
freccia acuta dalle tue mani sulle
anime dei morti: non devi avere
paura». Disse, ed il figlio di
Anfitrione rimase stupito e
disse: «Chi fra gli immortali o fra
i mortali ha cresciuto un tale
germoglio, e in che terra?
Chi l’ha ucciso? Era, forse, la dea dalla
bella cintura, lo manda contro di me, ma la
bionda Atena ci penserà». (ìli rispose Meleagro piangendo:
«È duro piegare la volontà degl, dei
per i mortali che vivono sopra la terra.
Anche Eneo mio padre, abile nel domare i cavalli,
avrebbe placato l’ira di Artemide
dalle bianche braccia, coronata di fiori,
pregandola con sacrifici
di molte capre di buoi
dal dorso purpureo.
Ma la dea mantenne invincibile
la sua ira, e mandò un cinghiale
fortissimo, audace in battaglia,
alla bella contrada di Calidone;
qui, straripando di forza,
devastava con le zanne i vigneti,
uccideva le bestie c qualunque
uomo gli si avvicinasse.
Per sei giorni continuamente
combattemmo, i migliori dei Greci, in
feroce battaglia e poi, quando
dio ebbe dato vittoria agli Etoli,
seppellimmo i morti che aveva ucciso il
cinghiale nell’assalto violento, Anceo ed
Agelao, il migliore
dei miei illustri fratelli,
che partorì Altea nella casa
gloriosa di Eneo.