Per Terone di Agrigento
Inni dominatori delle cetre,
celebreremo un Dio, un Eroe,
un forte? Pisa è di Zeus.
Il rito di Olimpia Eracle volle
e fu primizia della sua battaglia.
E Terone si deve celebrare
per la vittoria della sua quadriga,
il giusto con gli ospiti,
il sostegno di Agrigento,
il fiore che padri chiari hanno trasmesso
perché fosse salvezza alla città:
quelli che molto faticarono
prima di avere la dimora sacra
sul fiume, e furono l’occhio
della Sicilia, e il tempo e la sorte
li vegliarono, gli diedero ricchezza
grazia e schietto valore.
Figlio di Crono e di Rea, tu
che regni la dimora dell’Olimpo
e il colle delle gare
e la via dell’Alfeo,
placato a questo canto
benevolo proteggi
per i figli venturi
i maggesi dei padri!
Neppure il Tempo che ogni cosa genera,
può fare che non siano più le opere
compiute o giuste o ingiuste,
se furono: ma la sorte felice
è muta. Nella gloria della gioia
la pena muore,
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se la sorte divina
solleva al cielo la felicità
è vinta la vendetta del dolore.
La mia parola segue
le regali figlie di Cadmo:
molto esse patirono,
poi un bene più forte
fece cadere il peso dell’angoscia.
E vive tra gli Olimpici
Semele dalle trecce stese
che fu spenta nel fremito del fulmine:
Pallade l’ama sempre
e il Padre Zeus e il figlio cinto d’edera.
E dicono che a Ino
tra le figlie di Nereo marine
fu concessa una vita inestinguibile,
per tutto il tempo. No, non è deciso
ai mortali il confine della morte,
né se un giorno di pace figlio del sole
sarà compiuto in una gioia intatta:
fiumi di bene e fiumi
di sventura ci portano
Così la Moira, che regge
benigna la vicenda della stirpe,
con la gioia che sorge dagli Dei
alternò la sventura
che ritorna nel tempo,
da quando il figlio tragico di Laio
incontrò sulla propria via il padre
e l’uccise perché l’antico
oracolo di Delfi si compisse.
Ma l’Erinni tagliente lo guardò
e quella razza di guerrieri spense
di reciproca morte. Alla rovina
di Polinice sopravvisse il figlio
Tersandro, il nuovo getto della casa,
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degli Adrastìdi, e la soccorse, ed ebbe
onore nelle gare
dei giovani e sul campo di battaglia.
E chi da questo seme ebbe radice,
il figlio di Enesìdamo, è giustizia
che le cetre lo lodino ed i canti.
Anch’egli a Olimpia ricevette il premio
ed in Pito e sull’Istmo
le Cariti uguali ai due fratelli
hanno recato i fiori alle quadrighe
dalle dodici corse. L’esito affranca
dall’angoscia colui che l’ha tentato.
E la ricchezza bella di valore
dà l’Occasione e ruba
la greve aspra angoscia:
astro sacro, verissima
luce per chi sa ciò che l’attende.
Dopo la morte le anime maligne
subito scontano la loro pena,
sotto la terra qualcuno giudica
le colpe di questo regno di Zeus
e la sua parola suona
come un lugubre fato.
Ma i giusti ricevono
una vita più serena,
tra notti uguali sempre
e giorni sempre uguali
nella luce del sole,
senza che mai la terra
né il mare sia sconvolto
dalla forza delle mani,
in una vita ignuda
ma con gli Dei che onorano;
e loro che gioirono