La resa dei conti
In una delle scene più drammatiche della sua tragedia, Euripide fa confrontare Giasone e Medea. Ne risultano la meschinità e l’opportunismo del primo e la fierezza e la superiorità intellettuale della seconda.
GIASONE: Potevi restare in questa terra e abitare questa casa, [...] il tuo parlare insensato te ne allontana. [...] Eppure [...] io non rinnego i miei affetti e sono qui per riguardo di te, perché non andiate tu e i figli, in esilio sprovveduti e bisognosi. [...] Anche se tu mi odi, non posso io avere mal animo contro di te.
MEDEA: Ah vile, scellerato! [...] No, non è coraggio questo, non è arditezza, dopo il male che mi hai fatto, venirmi di fronte, e guardarmi, ma è impudenza, la peggior peste che sia nell’uomo. Ma hai fatto bene a venire. Sarà un sollievo, un respiro di leggerezza per l’anima mia oltraggiarti, e sarà una tortura per te ascoltarmi. Dal principio comincerò. Io ti salvai, come tutti sanno quei Greci che insieme con te s’imbarcarono sulla nave Argo, il giorno che fosti spedito colà perché tu sottomettessi al giogo i due tori spiranti fuoco e seminassi la valle di quella seminagione mortale. E il drago, che con sue spire tortuose e molteplici avvolgeva e custodiva, perennemente insonne, il vello tutt’oro, io fui che lo uccisi [...], tradii il padre mio, tradii la mia casa, e con te venni a Iolco, nella Peliotide, ahimè! più innamorata che saggia, e quivi feci morire Pelia, e della morte più dolorosa, facendolo uccidere dalle stesse sue figlie, e te liberai da ogni altro timore. Tutto questo hai avuto da me; e ora tu, scellerato e vile, mi abbandoni, e ti congiungi in nuove nozze, tu che anche figli hai avuto da me. [...] Dimmi: dove vado io ora? alla casa di mio padre, che io ho tradita come ho tradito la mia patria per venire con te? ritorno dalle misere figlie di Pelia? Oh bella accoglienza mi farebbero, io che feci morire il padre loro! Così stanno le cose. Alle persone di casa mia mi sono fatta nemica, e nemici, per compiacere a
te, mi sono fatta nemici coloro che non c’era motivo io maltrattassi. Certo, agli occhi di molte donne dell’Ellade sposa felice io sono per tuo merito e per compenso dei miei servigi! Ma che ammirevole e fedele sposo mio, il giorno che me ne andrò, sventurata, da questa terra, cacciata in esilio, deserta di amici, sola coi figli soli! [...]
GIASONE: [...] Ma ti è spiacevole dire e ammettere che fu Eros che ti costrinse con i suoi dardi inevitabili a salvare la mia persona. Del resto io non voglio troppo distinguere e insistere su questo punto: comunque tu mi abbia aiutato, fu bene per me. Ma tu, in cambio della salvezza mia, hai più ricevuto che dato. [...] Anzi tutto è terra di Grecia questa che tu abiti, e non un paese barbarico; e conosci giustizia, e puoi vivere secondo norme di leggi e non come piaccia a violenza. Tutti i Greci riconobbero la sapienza tua e ne hai acquistato fama. Se tu abitassi ancora laggiù, agli estremi confini del mondo, nessuno parlerebbe di te. [...] Quando io venni qui dalla terra di lolco traendomi dietro una serie di disperati guai, quale miglior fortuna potevo trovare, bandito com’ero, che sposare la figlia del re? Non già perché avessi in odio il tuo letto - né perché fossi colpito da desiderio di nuova sposa, e nemmeno per ambiziosa gara di un maggior numero di figli, mi bastano quelli che ho e non mi lagno; ma perché potessimo avere una vita agiata, che è un gran bene, e non patire miseria, ben sapendo che il povero tutti lo fuggono, anche gli amici, e i figli potessi allevarli secondo il decoro della mia gente, e generando fratelli ai figli avuti da te farne una sola famiglia e così, con le due figliolanze congiunte, vivere felice. [...] Così fatte siete voi donne: finché nelle vostre relazioni coniugali tutto va bene, vi sembra di avere tutto per voi; qualche cosa va male, e anche il migliore stato e il più bello vi diventa nemico. Meglio sarebbe che gli uomini in altro modo generassero figli, e non ci fossero donne; solo così non avrebbero guai.
MEDEA: Certo io sono in più cose diversa dalla più parte degli esseri umani. Per me l’uomo iniquo che insieme è abile parlatore merita il maggiore castigo. [...] Tu dovevi col mio consenso, se non eri quel vile traditore che sei, fare questo matrimonio, e non a mia insaputa.
avuti da te farne una sola famiglia e così, con le due figliolanze congiunte, vivere felice. [...] Così fatte siete voi donne: finché nelle vostre relazioni coniugali tutto va bene, vi sembra di avere tutto per voi; qualche cosa va male, e anche il migliore stato e il più bello vi diventa nemico. Meglio sarebbe che gli uomini in altro modo generassero figli, e non ci fossero donne; solo così non avrebbero guai.
MEDEA: Certo io sono in più cose diversa dalla più parte degli esseri umani. Per me l’uomo iniquo che insieme è abile parlatore merita il maggiore castigo. [...] Tu dovevi col mio consenso, se non eri quel vile traditore che sei, fare questo matrimonio, e non a mia insaputa.
GIASONE: Oh, sarebbe stato proprio un bel consenso il tuo se ti avessi parlato di queste nozze, tu che nemmeno ora ti risolvi a placare la tua collera.
MEDEA: No, non questo ti tratteneva, ma il pensiero che le nozze con una donna barbara ti avrebbero portato a una vecchiezza senza onore.
GIASONE: Intendi bene: non per amore di donne mi sono sposato con la figlia del re; ma, come t dissi già prima, per salvare te e per generare fìgl di sangue regale che fossero fratelli ai figli nostri ( presidio alla casa.
MEDEA: Via da me una felicità così amara e un benessere che mi strazierebbe il cuore!
GIASONE: Io non voglio disputare più oltre con te! Se per i figli, per te, per il tuo esilio, vuoi accettare da me un aiuto di denaro, parla. [...]
MEDEA: [...] Tieniti i tuoi doni. Doni di un miserabile non possono portare che male. [...] Ma sì, vattene via! Desiderio della giovinetta sposa ti prende se troppo tempo indugi lontano da lei. Goditi le tue nozze. Forse - e un dio mi ascolti - tali nozze vorrai non avere mai fatte.