Il nodo nevralgico dell'Antigone di Sofocle è costituito dall'interdizione posta da Creonte alla sepoltura di Polinice, reo di aver assalito con le armi la propria patria. I problemi che ne derivano sono molti e complessi: la colpevolezza di Polinice nei confronti della sua città, il rispetto verso le leggi sancite dagli dei e di quelle promulgate in nome della Polis, la sacralità della Polis stessa e infine l'onore dovuto al cadavere.
Eschilo nel Sette contro Tebe, pone la città come autorevole e massimo discrimine: chi difende la città è nel giusto, chi la minaccia è colpevole. Polinice è dunque colpevole e il problema relativo alla sua sepoltura viene posto già da Eschilo nel finale della tragedia in cui il coro si divide in due parti una che segue il cadavere di Eteocle, l'altra quello di Polinice . Anche per Sofocle la responsabilità di Polinice sembra fuori discussione ma la sostanza della discriminazione cioè il divieto della sepoltura assume un rilievo eccezionale nell'ambito della sua performance tragica e mette in crisi l'autorità stessa della polis e delle sue leggi.
Quanto a Euripide, nelle Fenicie egli affronta e risolve le questioni a modo suoi: entrambi i fratelli sono responsabili, la città e le sue leggi appaiono svuotate di ogni valore sacro e subordinate agli interessi privati e personali dei principi. Un solo problema rimane aperto: la sepoltura di Polinice.
Il tema della sepoltura attraversa tutta la letteratura greca, A partire dall'Iliade omerica, Dove la "salvezza dei corpi" trova la sua massima esaltazione nell'episodio del riscatto diretto.
Nella produzione drammatica di Sofocle questo tema riceve particolare attenzione: dal dibattito che, nell'Aiace, si accende sul cadavere di Aiace suicida, per finire con l'Edipo a Colono, dove Edipo stesso, da vivo, lotta per ottenere un luogo dove trovare riposo, dopo la morte. Ma nell'Antigone il dramma è quello della città e della famiglia, dell' ὀιχος ε della πόλις
Antigone si batte in nome di un comandamento morale, il nome di quelle leggi non scritte che le impongono di seppellire il fratello per onorare la pietas verso i morti.
Creonte difende un principio giuridico con l'ostinazione di chi ritiene che nessuna legge morale possa elevarsi al di sopra della legge dello Stato. Entrambi hanno ragione, Antigone in quanto sorella, Creonte in quanto legittimo sovrano. Entrambi hanno torto, Antigone perché di fatto trasgredisce la legge, Creonte perché di fatto offende la pietà.
Alcuni scorgono, invece, nel gesto di Antigone e nel suo richiamo alle "leggi non scritte", la difesa delle prerogative del "γένος" nei confronti del dovere diobbedienza a una comune legge scritta della πόλις.
D'altra parte, già Aristotele (Rhet. I, 13, 2), non tanto interpretando, quanto estrapolando il senso del gesto dell'eroina sofoclea dal suo specifico movente (la pietà sororale) e dal suo precipuo contenuto (il diritto dei morti alla sepoltura, attinente alla sfera della δίχη ctonia) ne fa, appunto, l'emblema della legge naturale, in opposizione a quella positiva:
"Definisco la legge o particolare o comune. Chiamo particolare quella che è stata istituita da ciascun popolo per se stesso (…). Chiamo invece comune la legge che è per natura. Esistono infatti una giustizia e un'ingiustizia comuni per natura, che tutti gli uomini riconoscono quasi per divinazione, anche se non è intervenuta fra loro alcuna comunicazione o convenzione. In questo
senso, anche l'Antigone di Sofocle sembra dire che è giusto seppellire Polinice nonostante il divieto, in quanto è giusto per natura…".
La prima voce della letteratura greca in cui il concetto è rinvenibile è quella di Esiodo. In lui coesistono una visione negativa del presente (costituita dall'età degli uomini di ferro, che, messa da parte δίχη, governano con βία, la ("prevaricazione del più forte") e la fede certa nel trionfo finale della giustizia, poiché essa è norma di vita che Zeus stesso fissò per gli uomini, diversificandoli proprio così dal regno animale.
(Opere e Giorni 276 sgg.). Il diritto umano affonderebbe le proprie radici in una norma di giustizia assoluta. "Quest'indiamento della giustizia umana, delle sentenze dei giudici, è la più grande conquista del genio esiodeo e rappresenta una tappa fondamentale nella storia del diritto e della religione greca.
Analoga certezza della dipendenza dei νόμοιi dalla δίχη divina è affermata nelle elegie politiche di Solone. "Anche per lui certo è che il diritto ha il suo posto incrollabile nell'ordinamento divino del mondo. Egli non si stanca di riaffermare ch'è impossibile calpestare il diritto, giacché questo finisce sempre per imporsi vittorioso. Il castigo prima o poi arriva, ristabilendo il necessario equilibrio là dove la prepotenza (hybris) umana ha violato i giusti limiti".