3
tempra che il gemito. Qui cade anche la magnanima forza dell’eroe che si specchia. Aiace ululava, eppure disdegnava le lacrime femminili e fissava con lucidi occhi la spada: la tragedia di Èdipo è più desolata; le vane fantasime, gli uomini, qui sono davvero pari allo zero, come lamenta il Coro. Manca un’esplicita denuncia dell’ingiustizia divina. Solo un’accusa martella, sul finire, il nome d’Apollo. La pietas del Coro viene in soccorso, nonché del dio, degli oracoli, che vivono e s’aggirano sempre attorno al colpevole in fuga. D’altronde l’esaltazione del dio è vietata proprio dal sentimento del nulla umano. Dire che il libero arbitrio è salvo perché gli dèi fanno Èdipo sventurato senza però obbligarlo a peccare è sottigliezza speciosa. Qual è mai il libero arbitrio d’un’ombra, a cui è tolta o travolta la misura morale degli atti? Il reo di delitti inconsci o legittimi approda a una condizione obiettiva d’impurità mostruosa e tuttavia inimputabile. Il determinismo teologico impera, senza riserve. Molte cose s’ammirano giustamente in questa tragedia: la sapienza dei contrasti (persino del contrasto fra i contrasti Èdipo-Tiresia e Èdipo-Creonte!); la condotta dell’azione attraverso un balenante e sempre sfasato aizzarsi e sopirsi d’indizi e sospetti; l’ordito dell’«ironia tragica» insita nelle situazioni oltre che nell’ambivalenza delle parole; la potenza eccezionale della sticomitia nell’ultima stretta inquisitoria, quando Èdipo s’aggrappa, nelle domande incalzanti, a estreme disperate illusioni tuttavia consce del vero: non meno degno d’ammirazione ci pare il vasto e intenso disegno musicale e scenico, sentimentale e lirico che suggella la catastrofe. Additeremo anche qui le tracce d’una tematica, in motivi echeggianti. Il tema della morìa, negli esseri della natura e nell’uomo, e il tema della «fuga» tornano spesso, talora in accenni lirici suggestivi. Quasi personaggio della vicenda è il Citerone, mancata tomba di Èdipo, fatale crocevia dei pastori, vagheggiata sede di danze plenilunari nel canto delle folli speranze: porto, in realtà, dei gemiti rimbombanti dell’uomo distrutto, secondo il vaticinio. Il tema più imponente e ossessivo è quello del viluppo d’incesto, presentito, temuto, poi chiarito in una truce densità verbale; la concentrazione d’immagini (il porto, i solchi) s’accentua in tratti lirici. Torna il senso del viluppo nella memoria di Giocasta, in un’evocazione di
4
maternità confuse in empi letti; si fa, specie nel finale, una nota implacabilmente tenace. Questa sadica smania d’adeguare con le parole l’obbrobrio è un tratto greco e tragico: vengono a mente certe insistenti ricerche verbali delle Coefore, per definire l’ordigno di morte o l’empietà di Clitemestra. Alti, come di consueto, i cori. La parodo è piena d’accenti rituali e di fulgori; il primo stasimo reca le immagini del colpevole perseguitato in uno scenario alpestre e silvestre; il II stasimo s’apre con la stupenda contemplazione delle idee pure, delle leggi arcane e sublimi già invocate da Antigone; nel brevissimo iporchema dell’assurda gioia, una grazia lieve tende maliziose domande in un’aura di gioco; infine nel compianto sulle stirpi degli uomini pari al nulla sembra di cogliere il frutto supremo di tutta la storia. Altro può essere rilevato: certi spunti d’impressionante risonanza nella vita dello spirito umano (il «complesso edipico», eretto a cardine del freudismo), il patetico degli affetti, che sempre trova una voce in Sofocle, oltre ad alcune delle tipiche immagini impervie, o alle sfumature improvvise che coloriscono, anche in tratti colloquiali, lo stile.
Ma un’analisi dell’Èdipo re non può fermarsi a minuzie, per quanto preziose. Il suo valore non è nel frammento, come non è in questa scena o in quella stretta dialogica, in questa geniale densità o in quell’apertura corale. La critica aristotelica, che ne fece un modello soprattutto per l’architettura dell’azione, è anch’essa unilaterale e inadeguata. È la coerenza della temperatura poetica, accanto all’universalità del significato e alle risonanze della vicenda, a fare di questa tragedia un’opera esemplare. Èdipo è, con Prometeo, uno dei personaggi del dramma greco divenuti simboli e miti dello spirito umano, come più tardi Amleto, Don Giovanni o Faust; la sua «passione» cantata dal pio e disperato poeta di Colono, risonante nella voce dei più grandi interpreti del teatro, non ha mai cessato di commuovere gli uomini, d’ogni tempo e paese. Gli uomini che in Èdipo si riconosceranno per sempre, nella tragica, totale, irreparabile esperienza dell’assurdo e del nulla. Fra le molte rielaborazioni del mito edipico, una sola è degna di nota, nonostante i difetti del testo: l’oratario Oedipus rex di Stravinskij. Ma vanno almeno ricordati i nomi di Gide e di Cocteau.
(Introduzione all'Edipo re di Filippo Maria Pontani)